Comunità cristiane antiche e nuove.
Una piccola riflessione sulla vita comunitaria nel 2010
Nei pochi giorni passati in Italia ho potuto notare molta effervescenza in relazione alla novità delle comunità pastorali ed ho ricevuto parecchie domande sulla organizzazione della vita comunitaria in parrocchie molto estese come la mia parrocchia Jesús Divino Maestro a Huacho -Perú.
Spronato da persone amiche provo a scrivere qualche riga a partire dall’esperienza personale, sapendo che ci sarebbe bisogno di un approfondimento maggiore, ma nella speranza che possa servire almeno a
qualcuno.
Anzitutto molte volte mi hanno chiesto: ma come fa un prete solo con 30.000 abitanti?
Non soffre di non poter arrivare a tutti?
Certamente: uno si trova di fronte a una impresa impossibile: anche solo conoscere tutti i parrocchiani. La maggioranza per me è e resterà senza nome per sempre.
Occorre essere realisti: un prete da solo non può arrivare a tutti e neppure può essere l’anima di tutti i gruppi parocchiali.
Mi sembra che in questo caso di virtù si fa necessità:
che i laici assumano spazi di azione, formazione, coordinamento è senza dubbio qualcosa di salutare per la chiesa (una “virtù”), ma in contesti di carenza di sacerdoti diventa l’unico cammino percorribile.
Così, spesso, laici scoprono di essere capaci di apportare alla vita della chiesa, chiedono di essere formati e si entusiasmano!
In ogni caso sono consapevoli che non si sostituiscono al sacerdote, e ricorrono a lui frequentemente, ma soprattutto per la richiesta di servizi religiosi propri del suo ministero: specialmente la celebrazione delle messe, ma anche benedizioni e tutti gli altri sacramenti.
Il punto più interessante mi sembra però la concezione di parrocchia come “comunità di comunità”.
Anche in una periferia apparentemente anonima, le persone si identificano molto con il proprio quartiere, si sentono animate nella perseveranza cristiana dal proprio santo patrono e richiedono una attenzione particolare al proprio settore, anche se a volte un po’ campanilistica.
Ecco dunque la risposta della chiesa latinoamericana a fronte di questa situazione: le “Comunità Ecclesiali di Base”, che rendono visibile l’essere parrocchia: “Chiesa fra le case”.
Le CEB sono gruppi di laici che si radunano nelle case di un quartiere per vivere una esperienza cristiana comunitaria attraverso incontri settimanali incentrati sulla parola di Dio.
Il metodo è quello del vedere – giudicare – agire.
Si parte dal riconoscimento della propria realtà sociale, dai problemi diffusi esistenti (vedere).
Si legge la parola di Dio per lasciarsi illuminare dallo Spirito del Signore (giudicare).
Si scelgono impegni personali e comunitari che “dimonstrano la fede con le opere” (agire).
E in Italia come sarà?
Chissà, forse proprio i numerosi gruppi di Ascolto della Parola e tutte le altre forme di vita comunitaria cristiana sono i giardini dove crescerà la pianta di una vita in comunità piena, anche in una stagione dove diminuisce il numero di sacerdoti presenti sul territorio.