40 anni da prete, 30 in missione

LETTERA CIRCOLARE DI DON EZIO BORSANI, FIDEI DONUM

Cuba, Contramaestre 9-6-2020

Carissimi amici,
con il mio affettuoso saluto vorrei affidarmi alla vostra preghiera, ricordando una data: 14 giugno 1980. É la data della mia ordinazione, sono passati 40 anni. Nella Bibbia 40 é un numero significativo, é il tempo di una generazione, é il tempo di tutta una storia, di un cammino da compiere.
Ho compiuto questo cammino soprattutto (per 30 anni) in missione, a servizio di chiese di altri paesi, sono stato portato in altri luoghi, in altre culture, in altre società diverse dalle mie di origine. É una storia dai molti colori e sapori, con molti volti e immagini che mi si rincorrono dentro, e mi perdo un poco a voler comunicare qualcosa con delle parole. Anni fa un amico mi aveva dipinto dei quadretti per la casa parrocchiale di Sayán, in Perú, chiedendomi delle frasi del Vangelo che mi piacevano.
Ecco, vorrei solo dipingere un semplice quadretto con alcune parole di Gesú, e mostrarlo per la condivisione con voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16). Tutto é stato un dono, tutto é stato ricevuto. Noi siamo quello che abbiamo ricevuto, da Dio e dagli altri. Noi siamo quello che doniamo, a Dio e agli altri. La vita é donazione, é ricevere e offrire. Quando si arriva a una tappa importante, di compimento di un cammino (o anche quando sta iniziando), la coscienza che tutto é dono é importante. Tutto é dono, la vita, la fede, la comunità, la vocazione, la missione, le persone che si incontrano. Con questa coscienza del dono, uno si colloca al posto giusto, superando la tentazione sia della superbia e dell’orgoglio che del pessimismo e dell’abbattimento. Riconosco le fatiche e le omissioni, gli errori e i peccati, le indecisioni e le paure,… di molto devo chiedere perdono. La missione mi ha collocato tra i piccoli, i semplici, i poveri, e da loro ho ricevuto cento volte di più di quello che ho potuto dare. Di molto devo ringraziare, il dono del Signore é stato grande e perdura. Quello che rimane alla fine é quello che il Signore ha dato.

Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). In tutti questi 40 anni ho portato sempre visibilmente al collo una piccola croce di legno. Non c’é amore senza sacrificio. Nel cammino bisogna anche saper soffrire, per Gesú, per la chiesa, per i fratelli. E la lotta é una dimensione fondamentale del cammino al seguito di Gesú, lotta come coraggio di spendersi, di rischiare, di stare in prima fila e non sempre nascosto dietro.
Questo mio cammino é stato anche di lotta, di sacrifici, in certi momenti é stata dura. Per questo é stato un cammino bellissimo. Nella lotta é stata la croce di Gesú a portarmi. “Dov’é il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21). Dove mettersi, dove stare? Mettersi in alto o in basso non é la stessa cosa. Stare con i grandi o con i piccoli non é la stessa cosa. A secondo di dove uno sta, vede le cose in un certo modo, capisce in modo differente tutto, anche il Vangelo. Bisogna schierarsi. Il cammino missionario di tutti questi anni mi ha portato a vivere con i piccoli, i semplici, i poveri, nella savana camerunense, nelle Ande peruviane, nell’infinita campagna brasiliana, e ora nell’isola più grande delle Antille. Poco a poco sono arrivato a stare da una parte, a essere di parte, é stato inevitabile per me, e ringrazio Dio per questo. Dalla parte dei piccoli e dei poveri il mondo appare in un altra luce, ed il Vangelo getta un’altra luce sulla vita. “Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (2Cor 4,7). Dopo 40 anni, mi dicono che ho accumulato tanta esperienza. Io al contrario sento la necessità non di accumulare, ma di lasciare, di togliere, di diminuire. Che resti poca cosa, che tutto sia piccolo, essenziale. C’é tanto da lasciar andare, da perdere. Una preghiera che sto recitando in questi giorni dopo i Vesperi mi affascina sempre, é questa. “Agranda la puerta, Padre, porque no puedo pasar. La hiciste para los niños, yo he crecido, a mi pesar. Si no me agrandas la puerta, achícame, por piedad; vuélveme a la edad aquella en que vivir es soñar” (Miguel de Unamuno). Se il vaso é semplice, piccolo, senza adorni, solo creta cotta al sole, appare di più ciò che contiene, il tesoro. Alla fine, dopo tanto camminare, che resti un vaso fragile e piccolo di creta sarebbe una cosa grande, il compimento della missione di non predicare se stessi ma Gesú, di non mostrare se stessi ma il Signore.
Tutto lo riassumo quindi in tre parole: il dono, il sacrificio, la piccolezza.
E come cornice a questo quadretto, ecco la citazione che avevo scelto 40 anni fa per la immaginetta ricordo dell’ordinazione, come motto del cammino: “Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Gesú Cristo Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesú” (2Cor 4,5).

Nominato vescovo don Giorgio Barbetta Dalla Valtellina al Perù in aiuto ai poveri

Dalla Valtellina al Perù per servire i poveri, secondo lo stile dell’Operazione Mato Grosso e…per diventare vescovo. È la storia di don Giorgio Barbetta, nato il 1° settembre 1971 e cresciuto a Berbenno. Attratto dal carisma del suo compaesano don Ugo De Censi, da ragazzo ha vissuto diverse esperienze con il movimento missionario, impegnato a favore dei poveri in diverse zone dell’America Latina e ha scelto di diventare prete.

È arrivata giovedì dalla Santa Sede la comunicazione al sacerdote di Berbenno. Nato nel 1971, attratto dal compaesano don Ugo De Censi, sarà impegnato nella diocesi di Huari.

https://www.laprovinciadisondrio.it/stories/Cronaca/nominato-vescovo-don-giorgio-barbetta-dalla-valtellina-al-peru-in-aiuto-ai-pover_1331932_11/

“Vado io”. Daniele Badiali con i poveri delle Ande per incontrare Dio

In occasione della giornata di preghiera per i missionari martiri (24 marzo) esce «Vado io. Con i poveri delle Ande per incontrare Dio. Missione e martirio di padre Daniele Badiali» (Emi). È la biografia, scritta da Gerolamo Fazzini, di un sacerdote fidei donum di Faenza, legato all’Operazione Mato Grosso, ucciso in Perù all’età di 35 anni. Eccone un estratto:

http://www.lastampa.it/2017/03/22/vaticaninsider/ita/recensioni/vengo-iocon-i-poveri-delle-ande-per-incontrare-dio-fpyqrIRoTR1NVHlOqMp5DI/pagina.html

La carità nell’accoglienza dei poveri (genitivo soggettivo)

Una domenica pomeriggio di questo mese di agosto, ho voluto andare a visitare due signore che avevo conosciuto in ospedale, una con un bambino disabile, la seconda un signora che a causa di un incidente, avuto insieme al marito, deve rimanere immobile a letto da piú di un mese… e ancora deve rimanere prima di potersi sedere o alzare. Sono persone molto semplici, “super semplici“. A volte occorre usare il superlativo per descrivere la normalitá e semplicitá delle persone. Sublimi nella loro semplicitá , me ne sono accorto subito. Quando arrivo al quartiere , il marito della signora allettata mi stava aspettando sulla piazzetta e mi conduce fino alla casa, entro e vedo una bottiglia di Inca Cola, un bibita peruviana, nuova, sul tavolo della cucina. Penso “sicuramente , quando ho chiamato per dire che sarei andato a visitarli , sono andati a comperare qualcosa de offrirmi”. Mi fermo un oretta parlando e conversando della famiglia, dei progetti della figlia di 14 anni che vuole essere ingeniere, del padre che non finí la universita di ingenieria e ora fa il meccanico e che non lavora perché deve fare riabilitazione al braccio che ancora non muove bene e perché deve servire alla moglie immobile a letto (accudirla, lavarla servirla) Mentre parliamo la figlia mi porta un piatto con due fette di una torta e un bicchiere della bibita che stava sul tavolo. Loro non mangiano, io ne prendo metà fetta e alla fine preghiamo un po´ e do la benedizione alla famiglia, saluto e arrivato alla porta il marito vuole darmi anche dei soldi per il passaggio.. io rifiuto. E riprendo il mio cammino grato per quello che ho ricevuto di accoglienza. Continua a leggere

“Ero in carcere e mi avete visitato”

Questa testimonianza scritta da don Giambattista Inzoli, Fidei Donum dalla diocesi di Milano in Perù ci illustra in concreto la chiesa in uscita per vivere le opere di misericordia, in questo caso quella che riguarda i carcerati.

Dallo scorso giugno aiuto il lavoro pastorale nel carcere di Camaná, che è piú piccolo di quello di Carquin (Huacho) o di Aucallama (Huaral) . Ci sono circa 260 detenuti. Sembra una grande famiglia, tutti si conoscono. E sembra molto diverso da un grande carcere molto piú impersonale.

Il clima è differente e per il fatto che ho tempo, posso dedicare al carcere circa due giorni alla settimana. Per la Messa, catechesi per i sacramenti il primo giorno, il martedí, mentre per dialoghi e confessioni personali il secondo giorno, il giovedí. Giro per i quattro padiglioni con tranquillitá e mi fermo a parlare e dialogare con i detenuti. In questo tempo stavo riflettendo sulla parabola del Vangelo, quando parla del carcere, nel vangelo di Matteo, Gesú dice “ero prigioniero e siete venuti a visitarmi” . Riflettevo sul senso di questa parola, perché molte volte, soprattutto quando si fa la formazione a coloro che voglono essere volontari, nel loro parlare, e per giustificare il loro desiderio di venire nel carcere fanno queste affermazioni ,”Io voglio venire per dire a loro che non devono fare il male, perché si convertano” “Io ho fatto la catechista e so come dirgli le cose” “Dobbiamo dire che il male, il demonio ti prende se loro non si mettono a pregare…”. C’é , insomma, chi vorrebbe catechizzarli, chi vorrebbe insegnare, chi verrebbe dargli i sacramenti, esorcizzarli…. Chi si sente buono, vorrebbe mostrarlo portando sapone e carta igienica, o piccole cose che non ci sono in carcere. Peró Gesú, che non è l’ultimo arrivato, dice che quando vai in carcere, come quando vai in un ospedale o a casa di un ammalato, la cosa importante non sono le parole che porti, o il regalo, i fiori o i biscotti o la frutta che porti, ma il fatto che vai a visitare lui, vai a incontrare una persona, come persona, e quindi ad ascoltarla o , se lui non parla, a visitarla, dicendo “Come, stai? Come ti chiami? “ e una volta che hai conosciuto il nome vai a visitare José, Santiago, Jaime, Elvis…. Visitare le persone. Inoltre il vangelo dice che quando vai a visitare una persona detenuta, in realtá incontri Lui, “a me lo avete fatto, mi siete venuti a visitare” significa che la visita in carcere e l’incontro è per noi una occasione per essere evangelizzati, per ascoltare un parola rivelatrice, per contemplare il Dio fatto carne, che è venuto per visitarmi. Mentre visiti allora sei visitato, mentre ascolti riconosci una rivelazione, mentre ti apri all’altro sei abitato dal mistero di Dio fatto uomo.
Certo, c’e ́ bisogno di uno sguardo profetico e contemplativo, di fede.
Ed è, allora in queste visite, con questo stile, che, in questo apparente parlare del nulla, o meglio delle cose di tutti i giorni, che uno ti dice “ ̈Padre può confessarmi, sono 20 anni che non lo faccio” “Padre i miei non mi hanno battezzato. Ora finisco la pena, posso ricevere il battesimo come devo fare?” “Padre io vorrei sposarmi, lei che mi consiglia..”

E così passano le ore e devo correre in fretta a casa perché altrimenti arrivo in ritardo al pranzo comunitario in prelatura.
La conversione pastorale che papa Francesco chiede a tutti noi, per essere una chiesa in uscita, è una conversione strutturale verso una chiesa che va incontro alla gente e con la gente condivide un po ́della vita.

La spiritualità dei laici missionari alla prova delle domande dei ragazzi

Ottobre….è il mese missionario, ci troviamo in Missione…missionari…ma è una riflessione continua su cosa significhi davvero la Missione di Gesù, è un imparare costante dalla Parola, dalla gente semplice e umile, da un popolo e una cultura che davvero è altro da noi e che poco a poco continuiamo a scoprire, da fratelli di varie religioni ma sempre e tutti Figli di uno stesso Dio…ed è un ritrovarci sempre spiazzati, impreparati, fragili ma con il desiderio di condividere…un cammino, la Vita, un plato de sopa, una pizza fatta cuocere dal fornaio forse come facevamo i nostri nonni da noi….una quotidianità che ti fa uscire…non solo di casa perché qui si vive in strada ma da te, dalle tue sicurezze, dai tuoi punti di vista, dalle tue idee che pensi giuste, dalla tua verità…uscire verso un altro, un altro modo di lavorare, un altro punto di vista, un altro modo di vivere la fede ma ti conduce verso l’Altro con la A maiuscola perché è l’Uomo o la Donna creature di Dio. L’uscire comporta sempre una fatica, un distacco, una separazione ma se ti porta verso un Incontro ne vale la pena….e qui di incontri ne facciamo sempre davvero tanti…spesso nei momenti più inaspettati . Continua a leggere

“Donarsi”: l’esperienza spirituale di un laico missionario

Un grande ciao a tutti! Davide mi ha chiesto di scrivere qualcosa sulla difficoltá di donarsi… non é cosí semplice…. Rileggo un poco la storia della mia vocazione missionaria alla luce del primo anno di missione qui in Perú a Huacho. Tutto nasce dalle parole pronunciate da Gesú e scritte nel vangelo di Giovanni: “vi ho chiamato amici”. Questa piccola frase mi accompagna ogni giorno e sempre questo essere “chiamato amico” si rivela con tutte le persone che incontro… Quando vado nel barrio dove maggiormente sono presente “chiamo” i bambini, i loro genitori, le persone che ci aiutano per sviluppare insieme progetti che possano valorizzare la nostra vita, li chiamo per nome e a loro volta essi chiamano altri, gli amici degli amici…. Ovviamente non sempre le risposte sono positive peró é importante esserci, presentarsi come amico! Amico! Questa é la parola chiave! Che significa essere amici? Che significa per me essere chiamato amico? La povertá é tanta e non é solo económica,ma anche di mancanza di affetto, di non sentirsi parte del mondo, cittadino, di non avere diritti… essere Amico di questa gente significa ascoltare tutte queste povertá, provare a mettersi in dialogo testimoniando con tutti i nostri limiti e difetti quell’amore che Dio ci ha donato, quel bene che tutti abbiamo dentro il cuore… solamente che a volte é difficile lasciare che questo amore salga, forse per paura? Paura di essere rifiutati? Di essere giudicati? Si! Credo che sia proprio cosi! Io stesso sono stato giudicato senza essere conosciuto, criticato senza essere ascoltato. Ci é voluto tempo, pazienza, dialogo ricercato e lavoro constante vicino ai poveri… “compartir“, dicono qui, che non e´traducibile con “condividere”, il senso di questa parola é molto piú profondo. Posso dire di aver compartido tanto e di essermi guadagnato una buona fiducia e amicizia, non sono piú io solo a chiamare ma mi chiamano! In un incontro, forse uno dei primi, di formazione dentro la missione pastorale diocesana, una mamma mi dice: “hermano (fratello) venga sempre, qui la porta é sempre aperta, ci piace parlare con lei, non ci impone cose o qualcosa da fare, ci aiuta a capire e parla molto dolcemente. Lei é una persona che sa comprendere!”. Rimasi senza parole! Ora sono amico di questa mamma e di tante altre altre che vivono li’ nelle capanne di estera e dove avevo paura ad entrare. Ora non ho piú paura perché sono stato accolto, sono diventato amico! Donarsi quindi é compartir da amico, non solo qui in mezzo ai poveri ma anche tra di voi, tra noi, sempre c’é qualcuno che ha bisogno… Incarnarsi non é semplice ma non é impossibile!!