“Ero in carcere e mi avete visitato”

Questa testimonianza scritta da don Giambattista Inzoli, Fidei Donum dalla diocesi di Milano in Perù ci illustra in concreto la chiesa in uscita per vivere le opere di misericordia, in questo caso quella che riguarda i carcerati.

Dallo scorso giugno aiuto il lavoro pastorale nel carcere di Camaná, che è piú piccolo di quello di Carquin (Huacho) o di Aucallama (Huaral) . Ci sono circa 260 detenuti. Sembra una grande famiglia, tutti si conoscono. E sembra molto diverso da un grande carcere molto piú impersonale.

Il clima è differente e per il fatto che ho tempo, posso dedicare al carcere circa due giorni alla settimana. Per la Messa, catechesi per i sacramenti il primo giorno, il martedí, mentre per dialoghi e confessioni personali il secondo giorno, il giovedí. Giro per i quattro padiglioni con tranquillitá e mi fermo a parlare e dialogare con i detenuti. In questo tempo stavo riflettendo sulla parabola del Vangelo, quando parla del carcere, nel vangelo di Matteo, Gesú dice “ero prigioniero e siete venuti a visitarmi” . Riflettevo sul senso di questa parola, perché molte volte, soprattutto quando si fa la formazione a coloro che voglono essere volontari, nel loro parlare, e per giustificare il loro desiderio di venire nel carcere fanno queste affermazioni ,”Io voglio venire per dire a loro che non devono fare il male, perché si convertano” “Io ho fatto la catechista e so come dirgli le cose” “Dobbiamo dire che il male, il demonio ti prende se loro non si mettono a pregare…”. C’é , insomma, chi vorrebbe catechizzarli, chi vorrebbe insegnare, chi verrebbe dargli i sacramenti, esorcizzarli…. Chi si sente buono, vorrebbe mostrarlo portando sapone e carta igienica, o piccole cose che non ci sono in carcere. Peró Gesú, che non è l’ultimo arrivato, dice che quando vai in carcere, come quando vai in un ospedale o a casa di un ammalato, la cosa importante non sono le parole che porti, o il regalo, i fiori o i biscotti o la frutta che porti, ma il fatto che vai a visitare lui, vai a incontrare una persona, come persona, e quindi ad ascoltarla o , se lui non parla, a visitarla, dicendo “Come, stai? Come ti chiami? “ e una volta che hai conosciuto il nome vai a visitare José, Santiago, Jaime, Elvis…. Visitare le persone. Inoltre il vangelo dice che quando vai a visitare una persona detenuta, in realtá incontri Lui, “a me lo avete fatto, mi siete venuti a visitare” significa che la visita in carcere e l’incontro è per noi una occasione per essere evangelizzati, per ascoltare un parola rivelatrice, per contemplare il Dio fatto carne, che è venuto per visitarmi. Mentre visiti allora sei visitato, mentre ascolti riconosci una rivelazione, mentre ti apri all’altro sei abitato dal mistero di Dio fatto uomo.
Certo, c’e ́ bisogno di uno sguardo profetico e contemplativo, di fede.
Ed è, allora in queste visite, con questo stile, che, in questo apparente parlare del nulla, o meglio delle cose di tutti i giorni, che uno ti dice “ ̈Padre può confessarmi, sono 20 anni che non lo faccio” “Padre i miei non mi hanno battezzato. Ora finisco la pena, posso ricevere il battesimo come devo fare?” “Padre io vorrei sposarmi, lei che mi consiglia..”

E così passano le ore e devo correre in fretta a casa perché altrimenti arrivo in ritardo al pranzo comunitario in prelatura.
La conversione pastorale che papa Francesco chiede a tutti noi, per essere una chiesa in uscita, è una conversione strutturale verso una chiesa che va incontro alla gente e con la gente condivide un po ́della vita.